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Scomparsa Felice Cece, Arcivescovo emerito. Il saluto di Don Arturo: padre per sempre

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Marcello Coppola Consulting

Mons. Felice Cece, Arcivescovo della Diocesi di Sorrento-C.mare di Stabia, ha varcato stamattina la soglia dell’eternità all’età di ottantaquattro anni, lo accompagniamo con la preghiera e con la riconoscenza che si deve a chi ha portato la responsabilità di una Chiesa: “mementote praepositorum vestrorum” (“ricordatevi dei vostri capi”) ammonisce l’autore della Lettera agli Ebrei e aggiunge “che vi hanno annunziato la Parola di Dio; considerando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede”. Mons. Cece, originario di Cimitile, è stato presbitero della Chiesa di Nola, docente di Dommatica al Seminario di Benevento, Vicario Episcopale e Direttore dell’Istituto di Scienze Religiose della Diocesi di Nola, Vescovo di Teano-Calvi (1984-88), Segretario della Conferenza Episcopale Campana, Arcivescovo di Sorrento-Castellammare  di  Stabia  (1988-2012).  L’ho  conosciuto  negli  anni

1976-79 dai racconti di Pio e Giovanni che lo avevano avuto come professore a

Benevento e poi di vista nell’ottobre 1978 a Mugnano del Cardinale, magro, in talare e zimarra, a seguito dello zio, Mons. Antonio Cece, Vescovo di Aversa. Nella Cattedrale di Sorrento, l’8 luglio 1988, era l’unico vescovo con i capelli neri nella schiera dei presuli campani che erano presenti alla M essa esequiale per Mons. Antonio Zama morto improvvisamente il giorno prima a Napoli. Dopo tre giorni fu nominato Amministratore Apostolico della Diocesi di Sorrento-C.mare di Stabia. Era stato nominato Vescovo di Calvi e Teano nel

1984, a quarantotto anni  di età, quando aveva appena celebrato il 25° di

Ordinazione Presbiterale. Fu Mons. Giuseppe Costanzo, Vescovo di Nola, a portare la notizia a Don Felice (allora si faceva così) che si trovava a Montevergine per giorni di riposo e di preghiera nell’agosto di quell’anno e la nomina fu pubblicata il 17 agosto. Ai preti di Teano era solito dire che aveva ricevuto la loro Diocesi e la responsabilità di Vescovo “dalle mani della Madonna”. Succedeva sulla Cattedra di Calvi e Teano (diventerà Diocesi di Teano-Calvi nel 1986) a Mons. Matteo Guido Sperandeo, anch’egli nolano, che

 

vi aveva trascorso trent’anni. Abituati alla paternità e al volto rugoso di nonno del Vescovo Sperandeo, la gente restò meravigliata della giovane età di Mons. Cece che diede impulso alla Diocesi puntando sulla formazione del clero, sull’apostolato dei laici, sulla cooperazione tra parrocchie nella formula “in solido” che poi impianterà anche nella nuova Arcidiocesi. Ebbe poco tempo per dare una vera svolta a Teano perché quattro anni dopo, in seguito alla morte di Mons. Zama, fu nominato prima Amministratore Apostolico di Sorrento-C.mare di Stabia (11 luglio 1988) e poi Arcivescovo di quella Chiesa l’8 febbraio del

  1. 1989. Si vivevano giorni difficili nella Chiesa dove Mon Cece era inviato co me

pastore perché, in seguito al decreto del 1986 che unificava le due diocesi, da noi, come in molte parti d’Italia, c’erano resistenze e polemiche. Il Vescovo Felice, non senza difficoltà, ma con la pazienza e la tenacia che lo caratterizzavano,  fu,  in  ventiquattro  anni, il  grande  tessitore  dell’unità.

Di grande cultura, ma schivo e riservato, Mons. Cece aveva il culto dell’amicizia, della famiglia d’origine cui era molto legato, si poneva nell’incontro con semplicità  e  disponibilità,  dava  il  meglio  di  sé  nella  relazione personale e nell’interazione con piccoli gruppi. Il suo target era il gruppo scolastico, ma appena si superava in numero-classe entrava in ansia con una preoccupazione eccessiva per l’ortodossia, ho motivo di credere che fare l’omelia dinnanzi a vaste platee fosse la sua penitenza più dura.

Una notte di Natale, nella Cattedrale di Teano, avendo sbirciato prima della celebrazione una presenza numerosa di fedeli, ebbe la tentazione di scappare. Quando veniva in parrocchia per incontri e catechesi, soprattutto nelle Visite Pastorali, scoprivamo un vescovo diverso, sereno, affabile, capace di comunicare con piccoli e grandi. Perdeva la pazienza molto spesso per cose irrisorie, ma nelle grandi questioni ne esercitava una eroica che a noi, suoi collaboratori, sembrava eccessiva.

Per anni Don Nicola De Maria, un sacerdote della nostra Diocesi non troppo equilibrato, lo ha letteralmente angariato con interventi sconclusionati e, spesso, offensivi, rendendo impossibile riunioni e convegni, ma egli ha sempre taciuto sopportando. Lo stesso atteggiamento tollerante ha avuto nei confronti della famiglia Guerzoli che ad ogni Messa Crismale ed evento pubblico si presentava con cartelli e striscioni per presunti diritti lesi. Il

19 marzo 1992 San Giovanni Paolo II venne in visita alla nostra Diocesi per interessamento del Vescovo Felice: fu un giorno memorabile, preparato con una meticolosa organizzazione che, in una cornice di azzurro di mare e di cielo, lasciò una profonda scia di grazia. Più incline a stare chiuso nello studio, magari con poca luce, non credo che abbia goduto dei “golfi della bellezza”, espressione utilizzata per le nostre zone dagli “Alinari”, fotografi fiorentini di fine ottocento.

Quando era d’obbligo andare a Capri per motivi pastorali, il nostro vescovo temeva il mare e lo vedeva sempre nemico, restano memorabili alcune traversate con mare un po’ mosso dove si trasformava in Giona nascosto nella stiva col timore d’essere ingoiato da un cetaceo. In 24 anni di episcopato Mons. Cece ha ordinato più di settanta preti dando nuova linfa al Presbiterio e vivacità alla pastorale delle parrocchie e dei movimenti. Con le sue fisime che abbiamo imparato ad amare, è stato padre dei preti, attenti alle loro stagioni e alle loro crisi.

Ricordo un incontro, nell’episcopio di Sorrento con un giovane prete in crisi, dove il vescovo, senza parlare prese le mani del sacerdote nelle sue (come a ripetere il gesto rituale dell’Ordinazione) e disse: “Dobbiamo imparare alla scuola del peccato”. È la frase più bella che conservo del suo magistero. Avviene nei confronti del vescovo l’itinerario che naturalmente si vive da parte di ogni figlio nei confronti del padre, prima lo si idealizza, poi lo si combatte per affermarsi, quindi lo si incontra nella verità avvertendone i limiti e quindi la grandezza. Con la sua umanità ferita (ogni uomo è ferito) il Vescovo Felice ci ha amati e guidati, noi abbiamo apprezzato la sua libertà dal denaro, dal potere, la sua povertà francescana, lo abbiamo seguito e riconosciuto con la sua voce nasale, con le sue fisime, i suoi entusiasmi infantili, la sua fede semplice, il suo attaccamento alla Madonna, a Santa Teresina, a San Paolino da Nola.

Gli ultimi anni sono stati segnati dal calo della memoria fino al buio completo (ha attraversato anzi tempo lo Stige che lavava e levava ogni ricordo), io mi sorprendevo a parlare di lui al passato, come fosse già morto. Forse anche la senilità precoce è stata una grazia, lo ha salvato da rimorsi e rimpianti, lo ha posto in una beata tranquillità al riparo da ombre e paure, da incubi e tentazioni di tirare bilanci fallimentari. Gli diciamo grazie, preghiamo per lui, invochiamo la sua preghiera.

Quando morì Mons. Matteo Guido Sperandeo, il Vescovo più amato e ricordato a Teano, Mons. Cece fece realizzare per lui un busto bronzeo da porre in Cattedrale e dettò lui stesso la frase da incidere alla base: “Vescovo per trent’anni, Padre per sempre”. Lo salutiamo così mentre varca la soglia dell’eternità ricordandosi nuovamente di noi come proverbialmente faceva per i numeri telefonici.

Mentre aspettavamo, il 28 aprile 2012, in Piazza Tasso che arrivasse l’auto con Mons. Franco Alfano che faceva l’ingresso come nuovo Arcivescovo, Felix (con un vezzeggiativo lo chiamavamo così tra preti) mi avvicinò e mi disse (erano già i sintomi della malattia): “Che ci facciamo qui? Andiamocene!”. Volevi scappare dalla Cattedrale affollata di Teano e volevi farlo anche quel giorno, lo hai fatto sfuggendoci di mano nelle maglie delle parole, dei nomi, dei luoghi, e da stamattina definitivamente per andare lontano e vicino. Grazie, Felice, sei stato nostro Vescovo per ventiquattro anni, ma resterai Padre per sempre.

 

 

 

 

Avellino 12 maggio 2020

+ Arturo Aiello

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