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Una riflessione su Tredici, la serie televisiva che fa impazzire gli adolescenti e discutere gli adulti

Pubblicato il

Marcello Coppola Consulting

“Tredici” (titolo originale “13 Reasons Why”) è una serie televisiva statunitense di impianto drammatico dedicata ai ragazzi (“teen drama”) distribuita dalla piattaforma streaming più famosa al mondo, Netflix, su cui le serie vengono pubblicate in blocco e possono essere viste e riviste a piacimento (“binge-watching”), senza dover aspettare una settimana per la puntata successiva. Tredici è stata creata da Brian Yorkey sulla base del romanzo bestseller “13 Reasons Why”, thriller psicologico pubblicato nel 2007 da Jay Asher. La prima stagione è stata pubblicata on line il 31 marzo 2017, la seconda il 18 maggio 2018, mentre è stata già ufficialmente annunciata una terza stagione per il 2019. La storia ruota attorno alle vicende che seguono il suicidio dell’adolescente Hannah Baker, la quale prima del gesto estremo ha registrato su delle videocassette i tredici motivi che l’hanno spinta a farlo. Teatro della narrazione, la Liberty High School, liceo di una piccola città di provincia americana (l’immaginaria Crestmont). Hannah, una bella ragazza di diciassette anni, apparentemente una come tante, sensibile e socievole, ha sconvolto la comunità quando, in modo apparentemente inaspettato, si è tagliata le vene nella vasca di casa sua. Due settimane dopo, Clay Jensen, suo compagno di classe innamorato di lei, al ritorno dalla scuola trova sulla veranda di casa una misteriosa scatola di scarpe indirizzata a lui, al cui interno ci sono sette nastri registrati dalla stessa Hannah, numerati con uno smalto blu, in cui la ragazza cui spiega le tredici ragioni che l’hanno spinta a togliersi la vita. Hannah vuole che, uno dopo l’altro, gli amici da lei selezionati nella lista che ha composto inseriscano le cassette in un vecchio walkman, mettano le cuffie e diano avvio allo scorrere dei nastri, ascoltando il tragico maturare di una decisione alla quale non possono dichiararsi estranei, in quanto chi riceve le cassette è costretto ad affrontare la scomoda verità di essere uno dei tredici motivi che hanno contribuito a quel tragico gesto: “Sono Hannah. Hannah Baker. Mettiti comodo e ascolta l’audiocassetta che ti riguarda, quella che ho registrato prima di uccidermi, quella che ti farà capire che è stata anche colpa tua”. Un motivo, dunque, per ogni lato di cassetta, per ogni responsabile e per ogni puntata. Dalla visione delle video-cassette i destinatari scoprono, in una lunga e dolorosa presa di coscienza collettiva sugli effetti dei loro comportamenti, che Hannah si toglie la vita dopo aver subito atti di bullismo, cyberbullismo e violenza da parte dei suoi compagni, senza trovare nessun autentico sostegno, al punto di provare un dolore talmente intollerabile da perdere ogni interesse, fiducia e speranza nella vita e vedere solo nella morte la soluzione possibile. Tutto era cominciato con una lista dei maschi della scuola in cui Hannah era citata per “il sedere più bello”. Per questo motivo desta morboso interesse una foto che circola sui cellulari nelle chat dei compagni in cui Hannah è immortalata dal suo amico del cuore mentre scende da uno scivolo e inavvertitamente la gonna si solleva scoprendone il “lato B”. E’ l’inizio di un calvario, in cui Hannah cade vittima di un’escalation di piccole e sempre più grandi vessazioni: gli sguardi, le risatine, le voci nei corridoi, i discorsi negli spogliatoi dei maschi, la cattiveria delle altre ragazze, i gossip brutali, le battutacce dei ragazzi, i tradimenti degli amici, le mani addosso in una drogheria perché ormai etichettata come “ragazza facile”. L’amica Courtney Crimsen, per usarla come baluardo della sua taciuta omosessualità, la identifica poi in una foto che ritrae due ragazze che si baciano, cui seguono altri distruttivi pettegolezzi. Fino all’orrore dello stupro. In un quadro spietatamente realistico e quanto mai vivido della realtà adolescenziale, lucido e privo di retorica, si assiste tassello dopo tassello alla demolizione sistematica di Hannah fatta con viltà e leggerezza, quasi inconsapevolmente, goccia dopo goccia, dove ogni artefice pensa che, in fondo, non ha fatto nulla di tanto grave. Come descritto nella “teoria del caos”, suggerisce il telefilm nella prima puntata, un’azione in apparenza insignificante, una piccola variazione nelle condizioni iniziali del sistema, pari al battito d’ali di una farfalla, arriva a produrre grandi variazioni nel lungo termine, fino alla catastrofe: in questo caso, gesti semplici e all’apparenza innocui, come il creare una lista in cui quello di Hannah è “il miglior sedere”, portano alla morte della ragazza. Vengono approfonditi nel corso della narrazione altri personaggi significativi, come Bryce Walker, il carnefice di Hannah, che non si rende conto di quello che ha fatto, non si vede come uno stupratore, perché pensa di poter prendere quello che vuole e fare tutto ciò che gli aggrada, essendo la star, l’atleta, il leader e il re della scuola; Jessica Davis, vittima anche lei di Bryce, che rimane viva ad affrontare il difficile processo di ricostruzione di se stessa dopo l’abuso sessuale, passando anche attraverso la dipendenza da alcolici; Justin Foley, che ha messo in giro la falsa voce che Hannah sia una ragazza “facile”; Alex Standall, che dopo il suicidio di Hannah, sentendosi responsabile, va in depressione fino a tentare anche lui il suicidio; Tyler Down, che stalkerizza Hannah, per vendetta dopo essere stato respinto. La serie ha registrato ascolti da record e uno straordinario successo fino al vero e proprio culto tra i ragazzi, che l’hanno seguito con tale passione e voracità da renderlo il programma più visto sulla piattaforma, oltre a farlo diventare virale sui social e consegnargli il record di tweet sull’argomento. Tuttavia, la fiction è al centro di dibattiti, controversie e infuocate polemiche nel mondo per la rappresentazione esplicita, senza filtri e con grande intensità di temi attuali e scottanti come incomprensione tra genitori e figli, bullismo, isolamento, materialismo, stalking, maschilismo, violenza, sessualità, stupro, disagio mentale, depressione, ansia sociale, abuso di alcol e droga, suicidio, di cui è giusto parlare ma è importante farlo nel modo più corretto. Tutti sono concordi sul fatto che il mondo adolescenziale viene rappresentato nella serie nella sua tragica normalità, senza giudizi, senza moralismi, con spietata verità. Il dibattito verte sulle conseguenze sul giovane pubblico della fiction. Alcuni sottolineano il grande potenziale educativo della serie, lodandone i contenuti molto forti ma anche molto importanti che rappresentano un avvincente sguardo sul dolore adolescenziale e sostenendone la capacità di stimolare l’informazione e la discussione intorno a questi temi delicati: si auspica addirittura che la serie venga trasmessa nelle scuole, come richiesto da una petizione lanciata on line, per affrontare in maniera diretta, con chiarezza e sincerità, queste piaghe del mondo giovanile. Viene anche sottolineata dalla Fondazione per la salute mentale del West Michigan l’importanza di aver evidenziato nella storia campanelli d’allarme utili per i genitori, quali il calo dei voti di Hannah, il taglio di capelli, che il cambiamento di carattere. Importante anche la segnalazione nel lavoro del rapporto tra bullismo e suicidio, sottolineato di recente anche presso l’Università La Sapienza di Roma, in occasione della “Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio”, nel corso della XV edizione del Convegno Internazionale di Suicidologia e salute pubblica, dal titolo “Spendi un minuto. Cambia la vita”, incentrato sul crescente fenomeno del bullismo e cyberbullismo come causa di ideazioni e comportamenti suicidari. Altre voci, invece, manifestano perplessità e timori sulla serie. Il rischio più paventato è che la storia possa favorire il suicidio, attraverso il noto “effetto emulazione”, poiché non sempre è facile per gli spettatori, soprattutto i più giovani, distinguere la linea che separa la finzione dalla realtà, e i più impressionabili possono identificarsi nei personaggi, giudicando le proprie circostanze altrettanto insormontabili. In psicologia, infatti, è frequente usare le azioni degli altri per decidere quale sia il comportamento giusto da tenere, specialmente quando le situazioni sembrano identificabili con le proprie. L’aumento dei suicidi dopo la ribalta di un caso viene chiamato “effetto Werther”, termine coniato dal sociologo David Phillips in riferimento al famoso testo di Johann Wolfgang Goethe “I dolori del giovane Werther”, che narra di un ragazzo che decide di togliersi la vita poiché non corrisposto in amore dalla ragazza dei suoi sogni: a seguito della pubblicazione del romanzo nel 1774, si assistette a una catena di suicidi tra i ragazzi che avevano letto il libro in tutta Europa, al punto che in alcuni Stati le autorità ne vietarono la circolazione. La stessa cosa è accaduta in Italia dopo l’uscita di “Ultime Lettere di Jacopo Ortis” di Ugo Foscolo nel 1902, mentre in USA si registrò un incremento dei suicidi del 40% nella sola Los Angeles negli anni successivi alla morte di Marilyn Monroe. Il timore di questo effetto della serie tv è stato accresciuto dal dato di cronaca che un peruviano di 23 anni, Franco Alonso Lazo Medrano, fan della serie, si è suicidato lanciandosi dalla finestra del suo appartamento al quarto piano, sotto gli occhi della madre, affranto dal dolore per una delusione d’amore. La polizia, durante la perquisizione della sua camera, ha trovato due biglietti, uno d’addio, indirizzato alla ex-fidanzata, e uno con una lista di nomi e le istruzioni per ascoltare dopo la sua morte degli audio registrati sul suo computer, alla stregua esatta delle modalità usate dalla protagonista di “Tredici”. La terribile scena del suicidio, nell’ultima puntata della prima serie, è molto particolareggiata e descritta in modo esplicito e crudo, si vede dettagliatamente la giovane tagliarsi le vene, annaspare e morire lentamente dissanguata, facendo assistere attimo per attimo all’orrore della vita che si spegne. Nelle intenzioni degli autori, la crudezza della scena dovrebbe essere un deterrente, ma non tutti concordano su questo. Numerosi psicologi hanno trovato che la serie “romanticizza il suicidio”, lo mostra in maniera accattivante e spettacolarizzata rendendo “affascinante” l’idea di farla finita e ispira gli adolescenti a immaginare cosa potrebbe accadere dopo la loro morte. In particolare, costruendo attorno alla decisione della protagonista di uccidersi tutta la struttura narrativa, il telefilm sembra dare al suicidio la dignità di un atto che ha un senso, che è giustificabile quale atto finale di un percorso vendicativo per punire amici e conoscenti che l’hanno fatta soffrire, come se passasse il messaggio che l’idea che il suicidio sia “accettabile” se generato dalla cattiveria e dalle azioni deprecabili degli altri. Il timore in altre parole è che l’idea che dopo il tragico gesto tutti improvvisamente capiscano ciò che la persona stava passando e se ne sentano responsabili potrebbe “glorificare” il suicidio nella mente dei giovani spettatori. La tematica del suicidio è molto delicata e la cautela non è mai troppa. Dopo gli incidenti stradali, il suicidio è la seconda causa di morte nel mondo. fra i giovani di età compresa tra i 10 e i 25 anni. L’Oms riconosce il suicidio come priorità di salute pubblica e lo ha inserito tra le priorità nel programma d’azione per la salute mentale 2013-2020. Su Pediatrics 2018 una revisione avverte che la percentuale di bambini e adolescenti che si presentano negli ospedali pediatrici statunitensi per ideazione suicidaria (IS) o un tentativo di suicidio (TS) è raddoppiata dal 2008 al 2015. Tanti gli allarmi contro Tredici levatisi nel mondo in rapporto al rischio di affrontare tali tematiche in modo potenzialmente improprio. Il Washington Post ha riportato che numerose scuole in Florida hanno osservato un aumento nei suicidi e nei comportamenti autolesionisti da parte degli studenti e che alcuni di questi studenti hanno associato tali azioni a quanto visto in Tredici. Addirittura, in alcune scuole in Canada è stata proibita agli studenti la visione e la discussione della serie, mentre il distretto di Mesa County in Colorado e un altro in Minnesota hanno rimosso dalle proprie biblioteche il romanzo cui è ispirata. In Austria s’indaga per stabilire eventuali legami tra 13 Reasons Why e i tentati suicidi di tre adolescenti. E la Nuova Zelanda, che con due decessi a settimana ha il più alto tasso di suicidi tra teenager nel mondo, ha rivisto il proprio sistema di censura per vietare ai minori di diciotto anni di guardare la serie in assenza di un adulto. Prima che uscisse la serie, uno dei produttori aveva cercato di ottenere una specie di beneplacito dalla JED Foundation, un’organizzazione che si occupa di prevenire i suicidi tra gli adolescenti, ma Victor Schwartz, uno degli psicologi ai vertici dell’organizzazione, ha spiegato al New York Times che dopo aver visto la serie non hanno potuto sostenerla, perché era “una lunga storia di vendetta”: l’organizzazione ha anzi diffuso una guida con dei consigli per guardare la serie, in cui si diceva di non vederla da soli e di lasciare passare un po’ di tempo tra un episodio e l’altro, evitando il binge-watching. Anche la National Association of School Psychologists americana ha preso posizione, inviando ai suoi membri in tutto il Paese delle linee guida su come parlare delle immagini rappresentate e in una nota ha ribadito che esporre i più giovani alla visione o conoscenza del suicidio di un’altra persona rappresenta uno dei tanti fattori che i ragazzi con problemi psicologici includono tra le ragioni che li spingono a pensare al suicidio, sconsigliandone pertanto la visione ai ragazzi con idee suicidarie. L’Organizzazione Americana per la Prevenzione del Suicidio ha additato la rappresentazione del suicidio nel telefilm come troppo sensazionalistica e quindi potenzialmente emulabile. A ricevere molte critiche è stata anche la figura dello “school counselor”, lo psicologo del liceo, che in un passaggio dice a uno studente che “se voleva togliersi la vita, non potevamo fermarla”, un’affermazione contestata e considerata potenzialmente pericolosa da chi si occupa di prevenzione del suicidio, e che uno psicologo non pronuncerebbe mai. Lo stesso personaggio riceve Hannah Baker poche ore prima del suo suicidio, in uno dei momenti più duri della serie: lei, che lo vede come ultima spiaggia, gli fa capire che è stata violentata da un ragazzo più grande, e dice di avere bisogno “che si fermi tutto, le persone, la vita” ma lo psicologo, oltre a farle troppe domande che ne minano l’affidamento, dandole la sensazione di non essere creduta a fondo, anzichè cogliere i segnali e intervenire, le presta dei fazzoletti e la lascia andare suggerendole di dimenticare, “tanto lui fra poco se ne andrà”. Anche le rappresentazioni dello stupro sono state pesantemente criticate. Ci sono due scene di Tredici in cui vengono mostrati degli stupri, a carico di due ragazze da parte dello stesso autore. Uno riguarda Jessica, un’amica di Hannah, ed è mostrato in modo crudo ed esplicito, da tre prospettive: da quella di Hannah, nascosta in un ripostiglio; da quella del fidanzato di Jessica, che fa irruzione brevemente nella stanza; da quella di Jessica stessa. Lo stupro di Hannah è mostrato in modo ancora più duro, anche se non sessualizzato, ma dal punto di vista della pena della ragazza, attimo per attimo: la telecamera inquadra il suo volto in ogni fase del rapporto forzato, in una scena lunga, realistica e difficile da guardare che rivela con intensità estrema l’orrore subito dalla protagonista. In risposta alle critiche ricevute, dopo la prima serie, Netflix ha chiesto al Centro di Media e Sviluppo Umano della Northwestern University di condurre uno studio di ricerca globale per scoprire “se e come la serie ha aperto il dialogo tra adolescenti e genitori sugli argomenti scomodi affrontati”. Se più della metà degli adolescenti intervistati ha affermato che “lo show li ha spinti a chiedere scusa alle persone che avevano maltrattato in passato”, evidenziando dunque effetti positivi, è anche emerso che la maggior parte dei genitori “vuole più risorse” per affrontare queste conversazioni. Netflix ha risposto con un comunicato in cui ha sottolineato come “mentre diversi abbonati hanno preso spunto dalla serie per avviare discussioni importanti all’interno della loro famiglia, ci sono state anche opinioni contrarie e abbiano così deciso di ampliare gli avvertimenti per gli spettatori”. Attualmente Tredici risulta pertanto vietato ai minori di 14 anni ed è stato inserito in apertura del primo episodio un disclaimer per informare gli spettatori circa tematiche, linguaggio e supporti cui possono rivolgersi: “La serie di finzione affronta tematiche difficili, incluse la depressione e il suicidio. Se tu o qualcuno che tu conosci ha bisogno di essere aiutato nella ricerca di supporto, vai sul sito 13reasonnswhy.info per maggiori informazioni”. Sul sito sono indicati centri di supporto psicologico di diversi Paesi (ma non l’Italia), consigli da parte di esperti di salute mentale, una guida alla visione della serie per incoraggiare le conversazioni tra genitori e adolescenti. Inoltre il canale ha suggerito un lavoro su gruppi di utenti in tutto il mondo per “fornire supporto all’interno delle loro comunità sui temi presentati nella serie”. Netflix ha anche diffuso “Beyond the Reasons”, un documentario di 30 minuti in cui i membri del cast e alcuni psicologi spiegano quali sono stati i ragionamenti e le difficoltà dietro le scelte principali della fiction. Anche Tredici 2, il sequel nato con l’intento di mostrare l’evoluzione delle vite dei giovani coinvolti nel racconto di Hannah dopo le sue rivelazioni post-mortem e il processo che ne è scaturito contro la scuola, ha suscitato polemiche. In particolare fa discutere la scena finale, un’aggressione sessuale descritta in maniera molto cruenta e dettagliata che ha sconvolto e sconcertato il popolo del web, che si è interrogato se fosse necessaria tale violenza. Nella scena incriminata, Tyler Down viene attaccato dal compagno di classe Montgomery de la Cruz e da altri bulli del suo gruppo mentre si trova in bagno. Il bullo gli sbatte violentemente la testa contro il marmo del lavandino, gli immerge il volto nella tavoletta del water e incita i suoi compagni a tenerlo fermo mentre lo sodomizza brutalmente con una scopa. Tyler pianifica per vendetta una sparatoria durante il ballo d’inverno, prepara le armi e compone un collage con le foto dei suoi nemici. Benchè l’avviso ad inizio episodio inviti gli spettatori a fare attenzione per via del contenuto violento che potrebbe urtare la loro sensibilità, i seguaci della serie l’hanno come ovvio visto ugualmente. Il Television Parental Council, un gruppo di sorveglianza sui contenuti televisivi, ha presentato formale richiesta perché Netflix rimuova immediatamente la seconda serie a causa di potenziali contenuti dannosi per il giovane pubblico della fiction. La produzione si difende sostenendo che sono atti di bullismo purtroppo comuni benchè sotto-denunciati dalle vittime, per cui è giusto che le persone vittime di simili violenze possano sentirsi in qualche modo rappresentate. E ora che è in programmazione la terza stagione, sono in tanti a chiedersi se sia davvero necessaria, se abbia un senso, al di là di quello, ovviamente, commerciale. (Carlo Alfaro)

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