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Il tempio di Santa Maria del Lauro e quelli lapidi introvabili

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Marcello Coppola Consulting

La Basilica della Madonna del Lauro s’erge maestosa in piazza del Lauro con accanto il bel campanile costruito nel 1558. Un tempo era denominata piazza del Lauro l’attuale piazza Vittorio Veneto; poi il 10 dicembre 1921 furono apportate alcune modifiche alla toponomastica comunale e in tale occasione fu chiamata piazza del Lauro lo slargo antistante la Basilica di S. Maria del Lauro.

Mancano – come affermano gli studiosi locali – notizie precise sulla prima edificazione della chiesa, ma una lapide che si trova all’interno della Basilica,  posta nel 1569, attesta l’antichità del tempio la cui costruzione si fa risalire al primo secolo.

Il tempio  sarebbe crollato tre volte nei primi 1200 anni, ma venne riedificato “alto e sublime” come rivelerebbero “longobarde note”: peccato introvabili! Mons. Francesco Liguori, autorevole studioso locale, deplorava, nel 1888, che un tale prezioso documento fosse andato perduto nel corso dei restauri operati nelle diverse epoche. Generalmente il riferimento è ad una lapide introvabile. Giova, forse, rileggere con più attenzione il testo della lapide esistente, che meriterebbe una migliore interpretazione da parte degli studiosi:

“D.O.M. / Da barbari  che mani arso et combusto / fu sette volte il maggior tempio antico / di Roma et sette volte il cielo amico / l’eresse più magnifico et augusto / Tal io dal primo secolo vetusto /  sacro a Maria d’ogni idolo nemico / d’Alferio che Sorrento Stabia et Vico / resse sacro pastor pietoso et giusto / Tre volte caddi indi a mill’anni et duceto / Redificato fui alto e  sublime / qual longobarde note vi rivela / et hor ch’ il tempo havea il mio culto spento / Dal supremo mio tetto alle part ime / MDLXVIIII I Mieteresi me erigere al Cielo”.

Finalmente, nel 1218, un istrumento di permuta tra alcuni membri della famiglia Vulcano e la badessa del Monastero di S. Giovanni Boccadoro viene ad attestare irrefutabilmente l’esistenza del santuario metese.

Un’altra lapide risulta introvabile. Questa ricorderebbe l’opera illustre di Gaetano Lauro, morto nel 1902, Governatore dell’Arciconfraternita del “SS. Crocifisso e Pio Monte dei Morti”, amministratore della Basilica e del Comune, dove arrivò a ricoprire la carica di assessore all’Annona. Il 24 settembre 1902, nel Cimitero di Meta, il dott. Giuseppe Astarita ne tesseva l’elogio funebre, ponendo in risalto il suo impegno di cittadino probo. Gaetano Lauro si era adoperato in particolare per il restauro della Cappella di S. Pietro e della Cappella del SS. Crocefisso (entrambe si trovano all’interno della Basilica). Un tempo, per raggiungere la sagrestia dal coro dell’altare maggiore, bisognava passare attraverso la Cappella del SS. Crocifisso con “innominabile indecenza, irriverenza profanatrice del viavai dinanzi al Santissimo” – stigmatizzava l’Astarita. Gaetano Lauro precluse questo viavai davanti al Santissimo realizzando un corridoio interno che metteva in comunicazione il coro con la sagrestia. L’iscrizione lapidaria commemorativa, apposta nel nuovo corridoio (ma introvabile) è la seguente:

“HAEC TRAIECTURA / ET QUAE ADJACENT DUO CUBICULA / IMPENSIS / ARCHICONFR­_TIS SS. CRUCIFIXI /AC PII MONTIS / GUBERNATORE GAJETANO LAURO / QUANDAM ALOYSII / QUINQUAGESIMO ANNO /INCORONIS B. M. V. DE LAURO / TERTIO RECURRENTE / EXTITERE

A.D. MDCCCXCVIII / MENSE APRILIS”

 

La lapide, dunque, sarebbe stata apposta nel mese di aprile del 1898, nel 150° anniversario dell’incoronazione di S. Maria del Lauro.

Per fortuna, l’elogio funebre di Giuseppe Astarita “Sul feretro di Gaetano Lauro” (pp. 14 A4), fu stampato nel 1903 dalla tip. De Meo di Castellammare di Stabia con in calce il testo della lapide riportato da Luigi Lauro fu Michele. Non c’è, quindi, da dubitare della collocazione di questa lapide, quantunque  introvabile,  dal momento che si legge: “Riportiamo l’iscrizione lapidaria commemorativa, apposta nel nuovo corridoio…”.

Sono grato al Com.te Giovanni Castellano,  miniera di notizie sulla storia di Meta, per avermi dato la pubblicazione del dottor Giuseppe Astarita e mi auguro che essa possa essere tramandata alle future generazioni.

Lauro Gargiulo

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