Lunga, lunghissima, vita ai sognatori e a chi si “industria” per energizzare la dialettica cittadina su tematiche solitamente relegate a spazi di discussione assai ristretti o contenute nelle accese parentesi delle grandi (e illusorie) promesse elettorali. Perché certi progetti possono piacere o meno, possono strappare applausi o trovare fischi assordanti, possono sembrare fattibili, assurdi o, addirittura, essere viziati da profili di illegittimità, ma hanno un merito indiscusso: riaccendono i riflettori dell’opinione pubblica sulle questioni civiche della nostra città, allargandone la partecipazione.
Tuttavia, non ce ne vogliano i “valorizzatori” a vario titolo del Vallone dei mulini, ma alla discussione manca un tassello fondamentale. Anzi, non un tassello, manca proprio un riflettore.
Prima di industriarsi in progetti più o meno complessi, quel sito, che è stato certificato – così com’è adesso – come uno dei luoghi più fotografati al mondo, è al buio.
Questo, infatti, è quello che si vede di sera, dalla ringhiera di viale Caruso.
Di notte, il Vallone dei mulini non esiste. Non è normale per quello che rappresenta.
E qui, sarebbe innanzitutto il caso di interrogarsi sul motivo per il quale non si è capaci di assicurare con continuità l’alimentazione elettrica di un “faretto della luce” (che c’era ma che comunque funzionava “ad intermittenza”). Ossia, l’ordinaria amministrazione. Che, per la verità, è reclamata da più parti. E costituirebbe una base di partenza essenziale per poter “sognare” e progettare anche lo “straordinario”. (g.d.)