martedì, Maggio 13, 2025
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Il migrante | “Carnevale c’è. Ma non si vede”

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Marcello Coppola Consulting

LA RUBRICA | IL RACCONTO IMMAGINARIO DI UN PROF IN SERVIZIO AL NORD
A cura di Salvatore Foggiano

Questo fine settimana è l’ultimo di carnevale, ma a dirvi la verità qui al Nord non si vede una mascherina neanche a pagarla d’oro. La cosa mi ha stupito e ho chiesto alla ragazza del bar che frequento se da queste parte si festeggia il martedì grasso. E lei? Mi ha raccontato di come si sta adoperando per comprare il vestito alla figlia e, anche a scuola, qualche alunno mi ha detto che ha già comprato il suo travestimento.

Sicuramente è così, ma dove vanno a festeggiare? In piazza non c’è niente, non vedo manifesti che avvisano di carri allegorici, l’unica aria di coriandoli e stelle filanti è al centro commerciale Boh.

 Io intanto continuo la mia vita (da pensionato: cioè scuola e casa, anche se una mia cara amica dice che anche a Sorrento faccio la stessa vita, non è la stessa cosa) e ieri a scuola durante la lezione avevo un terribile mal di testa e allora ho chiesto alla nostra collaboratrice (non si chiamano più bidelle) di prendermi cortesemente un caffè alla macchinetta. Lei me lo porta e  scherzando  le dico: “Questo è il bello del mio lavoro: poter avere il caffè da una collaboratrice bellissima”. E lei: “Però la prossima volta se lo vada a prendere lei perché altrimenti qui si prendono vizi”. Ed io impietrito la ringrazio, scusandomi mille volte.

Questo avviene proprio il giorno prima di incontrare una collega di un paese vicino che, fermandosi a parlare, mi chiede se ho fatto amicizia. “Amicizia??!! Ma che scherzi?” le dico che mi è un po’ difficile fare amicizia. Ma sicuramente mi rifarò. 

A parte questo, sono contento di come vanno le cose a scuola, i bambini mi vogliono bene e anche i genitori; questa settimana abbiamo avuto i colloqui per consegnare le pagelle ed è stato bello vederli venire e preoccuparsi del rendimento dei figli. Ma coloro che mi hanno fatto più tenerezza sono i genitori di altri Paesi che stentavano a parlare la nostra lingua ma che, con grande pudore e dignità, chiedevano dei loro pargoli. Ho letto nei loro occhi la speranza di un futuro migliore: non tanto per loro ma per i loro figli.

 

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