martedì, Marzo 19, 2024
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Mascherine che salvano la vita. Le donazioni Rotary agli ospedali

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Marcello Coppola Consulting

 

Uno dei motivi per cui la pandemia da COVID-19 in Italia ha avuto un decorso così imponente si attribuisce al fatto che le infezioni si siano diffuse principalmente nell’ambito sanitario, dove per carenza di adeguate protezioni, in primis le mascherine, il personale sia sul territorio che in ospedale si contagia, si ammala e diffonde l’infezione tra colleghi, pazienti, familiari, amici e conoscenti. I numeri parlano chiaro: il 10% dei contagiati in Italia sono operatori sanitari e tra di loro si contano oltre 115 medici morti “sul fronte”.

Contro l’emergenza sanitaria, i Rotary Club di tutta Italia sono scesi in campo, fedeli alla loro mission di “service”, per rifornire gli ospedali delle preziose “mascherine filfranti facciali”. Il Rotary Club di Castellammare di Stabia, nell’ambito del “Progetto Emergenza COVID 19 sul Territorio Stabiese”, ha consegnato all’Ospedale San Leonardo un certo quantitativo di mascherine “FFP2”, nelle persone del presidente, Francesco Di Somma, e dei soci, nonché medici dello stesso presidio ospedaliero, Luigi Baron e  Vincenzo Amelina (past-president). In Penisola sorrentina, il Rotary Club Sorrento, grazie all’impegno del presidente, Antonio Ruocco, e dei soci ed ex-presidenti Costantino Astarita e Pino De Simone, ha donato agli Ospedali Riuniti della Penisola sorrentina preziose mascherine FFP2, nelle mani del dottor Giuseppe Lombardi, direttore sanitario degli Ospedali Riuniti della Penisola Sorrentina, del vice-direttore sanitario Alessandro Patriarca e della coordinatrice Infermieristica del Pronto Soccorso dell’Ospedale S. Maria della Misericordia di Sorrento, Lucia De Maio.

Come è noto, le maschere Facciali Filtranti la Polvere (FFP) sono dispositivi medici speciali che proteggono bocca, naso e mento grazie a un bordo di tenuta sul volto e sono muniti di uno specifico sistema filtrante per aerosol solidi e liquidi che trattiene le particelle aero-disperse, impedendone l’inalazione. Sono classificate in quattro tipologie, FFP1, FFP2 e FFP3, FFP4, in base al livello crescente di protezione. In presenza di contaminazioni elevate o di agenti biologici estremamente pericolosi come quelli di gruppo 4 (per es. virus delle febbri emorragiche), potrebbe essere necessario isolare completamente l’operatore dall’ambiente esterno impiegando autorespiratori che forniscono aria pura: non è il caso del COVID-19, contro il quale è raccomandato l’utilizzo di maschere con protezione almeno 2 o 3.

Le FFP3 (dotate di valvola di esalazione) sono indicate nelle situazioni in cui le particelle virali possono rimanere sospese nell’aria in forma di aerosol, cioè in goccioline molto più piccole delle droplets per le quali basta “un metro di distanza” per non esserne raggiunti: dunque, per gli operatori dei Reparti COVID, dove l’alta concentrazione di pazienti infetti aumenta in maniera significativa i tempi in cui le particelle emesse dal paziente restano in sospensione, e quindi possono andare incontro a evaporazione e conseguente riduzione del diametro, e venire trasportate a distanza considerevole dalla sorgente, o per i sanitari che intervengano sui pazienti COVID con manovre che prevedono l’aerosolizzazione di molte particelle di escreato del paziente, contenenti un’alta carica virale, come intubazione, estubazione, broncoscopia, tracheotomia, ventilazione non invasiva, ventilazione manuale forzata, rianimazione cardiopolmonare, induzione di espettorato, terapie in grado di generare nebulizzazione, e anche esecuzione di tampone nasofaringeo).

Le FFP2 possono essere con o senza valvola di esalazione. La valvola è una protezione in più che serve a chi è costretto ad utilizzare la mascherina per lungo tempo in contatto col malato, in quanto l’attività assistenziale prolungata e/o continuata con pazienti sospetti/probabili/confermati aumenta il rischio di inalazione di particelle virali, quindi occorre a sanitari che operino in un contesto ospedaliero o comunitario che comporti attività assistenziale di continuo o ripetuto contatto col malato, tale da aumentare il tempo complessivo di esposizione ravvicinata, come si verifica anche in attività routinarie quali il giro dei medici, il cambio dei letti e l’assistenza infermieristica. Le FFP2 senza valvola sono indicate per i sanitari che visitano o assistono per breve tempo pazienti potenzialmente contagiati, in ospedale o sul territorio, i soccorritori, le Forze dell’ordine impegnate in interventi di soccorso di emergenza. Da numerose prove sperimentali di confronto tra FFP2 e mascherina chirurgica, è stato ampiamente confermato che sia la capacità filtrante, sia la tenuta alla penetrazione lungo i bordi, sono di gran lunga maggiori nel caso dei dispositivi FFP2, per cui, anche se molto più costose delle mascherine chirurgiche, sono queste quelle che i medici dovrebbero utilizzare nei contesti clinici- con o senza valvola a seconda del tempo di contatto col paziente.

Le FFP3 e FFP2 con valvola, dato che dalla valvola della mascherina fuoriescono le esalazioni che diffondono il possibile contagio, sono assolutamente sconsigliate per la popolazione; ai medici stessi è consigliato abbinare la mascherina chirurgica sopra alla mascherina filtrante con valvola, per limitare la diffusione della loro esalazione.

Le mascherine chirurgiche, o quelle fatte in casa con tessuti pesanti che assorbano esalazioni e umidità, sono consigliate al personale sanitario quando non visita, alle persone che lavorano col pubblico, e alla popolazione generale, ma non per proteggere se stessi, bensì gli altri dalle proprie esalazioni. Le mascherine chirurgiche o similari fanno da barriera fisica contro le gocce di saliva, le macroparticelle di fluido attraverso cui il virus viene eliminato nell’ambiente da chi è infetto: sono dunque molto utili per non disseminare la malattia e infettare gli altri, ma non filtrano l’aria che si inspira e quindi non proteggono una persona sana dal contagiarsi se sta vicino ad una infetta, perché il filtro che esse garantiscono non è sufficientemente stretto per fermare le goccioline più piccole.

Secondo l’ultimo pronunciamento dell’Orgenizzazione mondiale della sanità (Oms), l’uso esteso e generalizzato di mascherine da parte di persone sane nell’ambiente della comunità non è supportato da prove che dimostrino che indossare una mascherina da parte di tutta la popolazione possa impedire la trasmissione di infezione da COVID-19. Anzi, il documento dell’Oms sottolinea che «l’uso di mascherine nella comunità può creare un falso senso di sicurezza, e il rischio di trascurare altri elementi essenziali, come igiene delle mani, evitare di toccare viso e occhi, distanziamento fisico. Indossare una mascherina è una delle misure di prevenzione che può limitare la diffusione di alcune malattie virali respiratorie, tra cui COVID-19, in funzione dalla seppure limitata percentuale di contagi che avviene da persone asintomatiche. Tuttavia, la maggioranza delle infezioni avviene da casi positivi sintomatici, per cui questa misura da sola non è sufficiente a fornire un livello adeguato di protezione: si usino o meno le mascherine, occorre rispettare al massimo le regole di igiene delle mani e distanziamento fisico». Anche se attualmente non raccomandato dall’Oms, un utilizzo universale delle maschere per il viso (chirurgiche o anti-smog o fatte in casa) potrebbe essere preso in considerazione, se le forniture lo consentono, nell’ottica di proteggere gli altri e non se stessi. Per la protezione dalle “droplets”, che veicolano il COVID-19, basta la distanza di sicurezza interpersonale, non si può mai essere sicuri al 100% che si riesca a rispettarla sempre e in tutta la popolazione, per cui le mascherine offrono un’ulteriore protezione. La trasmissione del nuovo Coronavirus avviene attraverso tosse e starnuti: per cui è importante che la indossi chi ha questi sintomi. Dal punto di vista pratico, è più facile ottenere che tutti si mettano la mascherina piuttosto che fare sì che i sintomatici indossino sempre la mascherina: solo il fenomeno di massa fa in modo che quell’individuo che deve indossarla lo faccia veramente, senza temere lo stigma sociale derivante dall’essere l’unico con la mascherina, che sarebbe un deterrente al suo uso. Se le usassero tutti, le mascherine diventerebbero una sorta di completa e generale protezione “di gregge”. Inoltre, alcuni studi, come quello apparso in questi giorni su Nature Medicine, non escludono del tutto la trasmissione del Coronavirus anche con le goccioline più piccole per via aerea, che si disperdono con il respiro o la fonazione, supportando l’uso universale delle mascherine. Già la Lombardia ha introdotto l’ordinanza dell’obbligo, per chi esce dalla propria abitazione, di proteggere se stessi e gli altri coprendosi naso e bocca con mascherine o anche attraverso semplici foulard e sciarpe. Anche il governatore della Toscana e della Campania hanno annunciato l’intenzione di rendere obbligatorio l’uso della mascherina all’esterno delle abitazioni.

Una mascherina garantisce la propria efficacia per un tempo massimo di 4 ore e deve essere cambiata subito se diviene umida, si danneggia o si sporca. Momento cruciale è il momento in cui la si indossa (sempre mani pulite, assicurandosi che riesca a coprire bene il naso, la bocca e il mento e sia a tenuta – come con la maschera da sub) e quando la si toglie, facendo attenzione a non toccare la superficie anteriore della maschera con le mani e sfilarla accuratamente dagli elastici, per gettarla immediatamente in un cestino coperto e subito dopo igienizzare le mani.

Carlo Alfaro

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