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La valutazione dello stress lavoro correlato prima e durante la pandemia. Facciamo il punto.

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Marcello Coppola Consulting

Dottoressa, che cosa si intende per stress lavoro correlato?

Lo stress lavoro-correlato è un concetto difficile da definire e sintetizzare, perché erroneamente (e spesso) viene confuso con una “patologia individuale”. Lo stress lavoro-correlato è invece un rischio professionale presente in taluni contesti di lavoro, è dunque una ” patologia di sistema”. È determinata da problematiche di gestione, pianificazione e organizzazione del lavoro. Sono diversi i fattori che possono determinare il rischio stress lavoro-correlato, ad esempio: mancata rigenerazione della forza-lavoro (blocco del TURN-OVER), cattiva ponderazione dei carichi di lavoro, mancato accesso alle ferie (e/o a permessi atti a garantire recupero psico-fisico),ambienti di lavoro dequalificanti, carenze nel management e molto altro ancora. Insomma, sono tanti i fattori che contribuiscono ad un clima stressogeno sul lavoro, quelli elencati sono solo una parte. Servono a dare l’idea del concetto ma non sono esaustivi.

Quali sintomi può comportare la presenza del rischio stress lavoro-correlato?

I sintomi derivanti da una situazione di stress sono molto vari. Possono essere di natura esclusivamente psicologica, ma anche psicosomatica e/o organica. Fin dall’antichità è stata dimostrata l’incidenza dello stress nelle patologie di carattere cardiocircolatorio, respiratorio e gastro-intestinale, oggi gli studi dimostrano che lo stress ha ripercussioni negative anche sul corretto funzionamento del sistema immunitario. Le patologie psichiche che possono dipendere dallo stress da lavoro sono tutte quelle afferenti sia al polo ansioso, sia a quello depressivo. Meno frequenti sono invece i sintomi dissociativi (deliri, allucinazioni, ecc), che si presentano in casi estremi, ad esempio nei traumi sul lavoro (soprattutto aggressioni o interazioni a valenza fortemente aggressiva). Un capitolo a parte occupa la sindrome da burn-out.

In cosa consiste?

La sindrome da burn-out è la conseguenza di una situazione di stress cronico, che perdura nel tempo e che è spesso dovuta ad eventi emotivamente e cognitivamente travalicanti, cioè per i quali le risorse del soggetto non sono sufficienti al fronteggiamento. Il burn-out caratterizza con maggiore frequenza le professioni sanitarie, perché esposte a sovraccarico emotivo e fisico, il primo per il contatto stretto con la sofferenza, il secondo per i turni di lavoro spesso lunghi ed estenuanti.

Occorre precisare però che la predisposizione alla sindrome da burn-out può essere determinata anche da fattori individuali, come: perfezionismo, difficoltà a delegare, idealizzazione della propria identità lavorativa, ecc.

 

Esiste un modo per prevenirne l’insorgenza? Dei fattori protettivi ad esempio.

Esistono certamente fattori protettivi rispetto allo stress da lavoro. Il d. Lgs 81/2008, che ne ha previsto la valutazione, sottolinea proprio quanto sia importante mettere in atto misure di prevenzione del rischio stress lavoro-correlato da parte delle aziende. I fattori protettivi sono soprattutto elementi di carattere organizzativo: è importante orientare la gestione del personale nella direzione dell’equità e della trasparenza, avere cura e attenzione verso i rapporti interpersonali, garantire fluidità nei processi informativi. Più un lavoratore è messo nella condizione di capire il contesto in cui deve muoversi e maggiori sono le risorse a sua disposizione (umane e strumentali), migliore sarà il suo livello di benessere, ma anche la sua produttività. È stato dimostrato infatti che ad un maggiore benessere sul lavoro corrisponde una maggiore produttività, ecco perché alcune aziende investono in benefit aziendali volti a favorire la creazione di un clima sereno, in grado di potenziare al massimo le relazioni tra dipendenti, anche in attività extra-lavorative (palestre aziendali, viaggi premio) .

Questi sono esempi particolarmente virtuosi ma danno l’idea di una cultura del lavoro orientata alla cura del dipendente.

Come ha cambiato la pandemia la percezione dello stress?

La pandemia ha inciso su tutti gli ambiti di vita delle persone. Tra questi il mondo del lavoro è forse quel settore che è stato maggiormente scosso dalla pandemia. Lo smart-working ha totalmente rivoluzionato il lavoro, a partire dal “dove”. Il luogo di lavoro è diventato la casa, ciò con tutte le conseguenze che questo comporta in termini di sovrapposizione dei tempi familiari e lavorativi. La contrazione, se non addirittura l’annullamento, di tutte le attività che consentono il recupero psico-fisico: sport, hobbies, viaggi, momenti di condivisione con amici e parenti, hanno proiettato le persone in un mondo quasi totalmente contraddistinto dalle attività connesse al “dovere”, ciò con un conseguente aumento dello stress. Trasversalmente questo aumento dello stress ha caratterizzato sia le professioni che hanno cominciato a lavorare a distanza, sia quelle per le quali il lavoro è rimasto in presenza.

Nella sua esperienza clinica e professionale, quali le prospettive future rispetto all’evolversi ed al modificarsi del modo di approcciarsi al lavoro nonché alle conseguenze sulla nostra salute fisica e mentale?

Oggi è purtroppo ancora poco utilizzata la figura dello psicologo del lavoro, è un limite culturale dell’Italia, ma aprire le porte a questa professionalità potrebbe rappresentare la risposta giusta non solo in questo preciso momento storico.

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