Quando vogliamo aiutare un genitore a contattare le difficoltà che il proprio figlio sta incontrando
nell’assolvere ai suoi compiti di sviluppo, gli chiediamo di provare a tornare a quegli anni, a come
lui ha vissuto e percepito determinate situazioni di vita. L’incontro con il mondo della scuola, inteso
come luogo in cui ci si confronta con le richieste di apprendimento e con una figura autorevole che
ha il compito di valutarci, certamente è una di quelle tappe che più ha segnato la vita di ciascuno.
Non a caso, quando cominciamo un percorso con un nuovo paziente, nel raccogliere la sua storia
chiediamo anche di raccontarci che alunno è stato e come ha vissuto quei lunghi tempi tra le quattro
mura della scuola. Che sensazioni proviamo nel ripensare al primo giorno di scuola? Quali ricordi
affiorano alla mente nel ripassare davanti a quell’edificio in cui abbiamo trascorso un bel pezzo
della vostra vita? Ripensando ai nostri maestri, quali espressioni si imprimono sul nostro volto?
Talvolta, ritrovandosi tra adulti, viene piuttosto facile, confrontandosi ad esempio in merito a
questioni lavorative, esclamare “bei tempi quelli in cui si era bambini, le uniche preoccupazioni
erano andare a scuola e giocare!”. Ma quanto è realmente sentito questo pensiero? Sembra piuttosto
gettato lì, tra le tante cose frenetiche del mondo degli adulti. Ma se realmente guardassimo a quel
momento della nostra vita con gli occhi del bambino che siamo stati, allora non ci sembrerebbe
tutto così “rose e fiori”. Ci auguriamo che per la maggioranza di voi l’esperienza dell’apprendimento sia avvenuta sotto la guida e con il sostegno di maestri pazienti e amorevoli, quelli che ancora oggi, quando ci pensi, li ringrazi per averti fatto amare la matematica, la lettura, o la scuola in generale. Quelli che hanno saputo instillare quella voglia di imparare e la curiosità di conoscere le cose, che prescinde dalla poesia in inglese o dalle paginette di storia da imparare per il giorno dopo. Non sempre purtroppo accade questo. Nell’esperienza di alcuni l’insegnante è colui
che ha procurato grossi mal di pancia! Complici talvolta un precoce inserimento alla scuola
primaria, senza tenere conto della maturazione affettiva, oltre che cognitiva, del bambino o il non
riconoscimento, e la conseguente inadeguata gestione, di alcune sue difficoltà, l’esperienza della
scuola finisce per tingersi di nero e generare un unico sentimento: “Io odio andare a scuola!”. Varie
sono le ragioni che possono trasformare in un incubo quella che dovrebbe essere un’importante
esperienza di crescita. Apprendere sancisce un netto distacco dalle fasi precedenti di vita, il bambino deve imparare da solo , i genitori non possono farlo per lui, e questo determina un passaggio importante in direzione dell’autonomia: “se non ho bisogno di mamma e papà per leggere una favola o per contare i soldini nel salvadanaio vuol dire che sto crescendo, che posso sempre più fare a meno di loro”. Questo può essere gratificante se si ha abbastanza fiducia ma diventare
spaventoso se percepito come un salto nel buio: allora diventa più rassicurante un passo indietro,
fino al rifiuto. La scuola è il primo mondo sociale del bambino, intermedio tra quello più familiare delle mura domestiche e quello della società, a cui proprio la scuola deve prepararci e che, diciamocela tutta, non ci risparmierà calci nel sedere! E se è vero che, come si suol dire metaforicamente, anche questi ultimi ci danno una spinta in avanti, bisogna però essere sufficientemente fortificati da sopportare la frustrazione e la delusione. La scuola è il luogo in cui il bambino deve imparare a fare del proprio meglio, a credere nelle sue capacità, a fare esperienza di
qualcuno che ha fiducia in lui, che lo sprona ma rispetta i suoi tempi, che non necessariamente sono quelli del primo della classe! E’ il luogo in cui imparare a competere in maniera sana e costruttiva, senza avere l’urgenza di vincere sempre e senza sentire di non valere nulla quando si perde. Tali acquisizioni sono importanti tanto quanto imparare a leggere e scrivere, più di sapere a memoria le tabelline o la storia dell’impero romano. Talvolta si rischia di perderlo di vista, sotto la spinta di rogrammi scolastici che il docente è tenuto a portare a termine o del bisogno del genitore di poter ostentare una pagella con tutti nove e dieci. La scuola finisce così per trasformarsi in un luogo