venerdì, Maggio 9, 2025
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ATTENTI AI MOSTRI!

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Marcello Coppola Consulting

Halloween, la festa autunnale più amata dai bambini o Allauin, la festa tanto temuta dal nostro Presidente campano? Perdonateci, ma la citazione era d’obbligo e per chi se la fosse persa ci riferiamo ad un intervento fatto dal Presidente De Luca circa due settimane fa a proposito di feste e assembramenti vari. Proprio nell’occasione in cui sancì che le scuole campane avrebbero visto uno stop di due settimane, decise che era meglio ribadire con il suo stile da sceriffo, un netto “no!” anche alla movida d’importazione. Ora, caro Presidente, lungi da noi contraddirla in merito alle feste, ma perché ce l’ha tanto con questa, addirittura da farla somigliare nel nome ad un famoso antinfiammatorio? Ironia a parte, il Presidente De Luca non è l’unico che la pensa così e, negli ultimi anni, abbiamo più volte scritto a proposito di Halloween e di tutte le feste in maschera, guardandole sotto la lente della psicologia evolutiva e di comunità. Non vogliamo dilungarci, la questione propone quesiti a cui rispondono con maggiore competenza antropologi e sociologi che, a tal proposito, su questo giornale vi hanno scritto più volte articoli illuminanti.  Ci chiediamo questa volta: come mai ci spaventa così tanto? Sì, abbiamo usato la parola “spaventa”: tanta ira la povera festa se la becca solo perché, con grande probabilità, desta molto timore. Ma di cosa abbiamo paura? Di una maschera? Tanti sono stati i significati e le funzioni assegnate ad essa nel corso della storia dell’uomo: maschere per esorcizzare, per propiziare, per spaventare, per ironizzare, per recitare. Oggi i bambini si travestono per potersi immedesimare nell’eroe preferito e sentirsi un po’ più coraggiosi, veloci, forti. Mascherarsi, da un punto di vista psicologico, nonché sociale, assume delle sfumature interessanti. Nel pensiero comune la maschera diventa spesso sinonimo di finzione, del mostrarsi per ciò che non si è, della non autenticità. In verità, non è proprio così. Quando indossiamo una maschera, specie se creata da noi, in qualche modo ci concediamo di contattare parti che tendenzialmente non mostriamo. La maschera ci consente di essere diversi dal solito e di farci percepire in modo differente dagli altri. Ci fa sentire protetti e nello stesso tempo messi a nudo, rappresenta, in ogni caso, l’opportunità di osservarci attraverso chi ci guarda in modo nuovo. La maschera può sicuramente celare aspetti che temiamo di mostrare, ma d’altro canto, come per le due facce di una medaglia, rivela altre parti di noi, e questo favorisce e stimola l’introspezione e l’auto-osservazione. Come mi vedono gli altri? Che lato di me apprezzano? Cosa è meglio che mostri? E’anche così, in effetti, che si costruisce nel tempo il nostro Io sociale, in una sorta di gioco di interazione e di aggiustamento tra maschere o, per non confonderci, tra parti di noi, alcune più autentiche altre meno. Noi adulti lo facciamo ogni giorno senza accorgercene: scegliamo una certa cravatta abbinata ad un abito scuro per dare di noi un’immagine più professionale. Prediligiamo un tacco alto e sottile così da apparire con una silhouette più allungata e sentirci più femminili. Piccoli escamotage che non ci rendono meno autentici. Sicuramente la risposta non è questa, altrimenti il problema si solleverebbe anche a Carnevale! Proviamo ad essere più specifiche: perché una festa nata per esorcizzare il tema del lutto e della morte riceve tanta indignazione? Forse la risposta è nella domanda, perché parliamo di un tema che suscita tante reazioni diverse: chi la considera parte naturale del ciclo della vita, chi la accoglie e con fede crede in una vita oltre, chi la sfida ogni giorno mettendosi in pericolo. Facciamo ancora molta fatica ad affrontare questo tema specialmente con i più piccoli, un esempio sono le fantasie più disparate per spiegare la perdita di una persona cara ad un nostro piccolo che, nella maggior parte dei casi servono a proteggere dal dolore l’adulto e creano confusione nei bambini. Ci arrovelliamo, o peggio omettiamo, nascondiamo la verità come se, nel concetto stesso di morte, ci fosse qualcosa di cui doversi vergognare. Così facendo, l’Innominata sabota i nostri vissuti rendendoci eccessivamente timorosi o incredibilmente sciagurati dinanzi al pericolo. Una festa in cui piccoli e grandi sentono di potersi trasformare, seppure con la fantasia, nel loro incubo peggiore rendendolo così più vicino, controllabile. Non è forse un modo per imparare ad accogliere con il giusto timore reverenziale, che spetta a chi sappiamo essere super partes, “sorella morte”?

 

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