Ogni anno una buona fetta di genitori si trova a dover prendere una decisione rispetto al percorso scolastico dei propri figli per quanto concerne il passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria. La legge infatti, consente l’anticipo di iscrizione ai bambini che compiono i sei anni d’età entro il 30 Aprile dell’anno scolastico di riferimento. Decisione che spetta alla famiglia, previo consigliato confronto con i docenti della scuola dell’infanzia frequentata dal proprio figlio e che la scuola primaria può decidere di accogliere o meno in base alla disponibilità di posti e ai criteri di precedenza deliberati dal consiglio di istituto. Decisione per nulla semplice, talvolta sottovalutata nelle sue conseguenze o presa sulla base di una valutazione parziale della preparazione del bambino a questo delicato passaggio. Lungi da noi pensare di poter stabilire una regola generale valida per tutti. L’estrema eterogeneità di sviluppo che connota quest’ultimi a parità d’età ci impedisce di “fare di tutta l’erba un fascio”, fermo restando le altre variabili che entrano in gioco e che vanno considerate per prendere una decisione: le caratteristiche specifiche delle strutture scolastiche di riferimento o il metodo didattico adottato dalle insegnanti che vi lavorano; così come non si può mettere sullo stesso piano un bambino che compie sei anni il primo gennaio e un altro che raggiunge la fatidica soglia dei sei il 30 aprile. Due righe invece vogliamo dedicare al pensiero che sottende la possibilità di far “guadagnare un anno” scolastico ad un bambino, in una corsa volta ad evitare di perdere tempo, misconoscendo in parte il diritto dei bambini ad essere tali e a giocare. I bambini di oggi vengono spesso sollecitati più precocemente che in passato a leggere e scrivere, ma è troppo semplicistico pensare che l’acquisizione dei prerequisiti degli apprendimenti sia sufficiente a rendere pronto un bambino al passaggio. E’ spesso sottovalutata la maturità emotiva del bambino, fondamentale affinché possa tollerare lo stress che il nuovo grado di scuola comporta e possibili iniziali insuccessi, sostenere la possibilità di stare seduto per tempi prolungati e di mantenere a lungo la concentrazione rispetto alla prestazione che gli viene richiesta. Le capacità di studio e di apprendimento del bambino non dipendono solo dallo sviluppo cognitivo e intellettuale ma anche dalle competenze emotive e sociali. In questa prospettiva il gioco è di sostanziale rilevanza, è il canale attraverso cui il bambino esprime se stesso ed entra in contatto con il proprio mondo emotivo, impara a padroneggiare la realtà che lo circonda e a relazionarsi agli altri. La questione è dunque se vale la pena far perdere un anno di gioco, così inteso al bambino, per guadagnarne uno di educazione formale che avrà tutto il tempo per sostenere ed affrontare.
Dott.ssa Margherita Di Maio, psicologa ad approccio umanistico e bioenergetico. Per info 331 7669068
Dott.ssa Anna Romano, psicologa-psicoterapeuta dell’età evolutiva. Per info 349 6538043