La catena di solidarietà e i sentimenti di partecipazione commossa che hanno accompagnato dapprima il dramma della solitudine e poi la prematura scomparsa di Antonino Scarpati, detto il “maresciallo”, rivelano il cuore più autentico della nostra comunità cittadina. Gesti sacri che riattivano quel circuito di tenerezza che appartiene al ‘nostro’ animo più nobile e più sensibile.
Tutto questo, anche grazie al buon cuore di un sorrentino, Gianluca Russo, che, con un gruppetto di amici, si è fatto carico di “portare”, nei giorni della ‘solitudine’ del ricovero in ospedale a Napoli, la vicinanza concreta della ‘nostra’ città al “maresciallo”.
Un gesto di cuore.
Dietro il lusso di “cartapesta”, al di là delle lucine artificiali che decorano qualcosa che è già bello di suo, dietro l’esaltazione della magnificenza, cui siamo quotidianamente abituati per genufletterci (per carità, anche legittimamente) alle logiche e ai ritmi ossessionati del mercato dell’immagine turistica, il cuore c’è. Rimane lì. Si riattiva inesorabilmente dinanzi all’imminente pericolo di perdere quel “qualcosa”, del quale, magari, prima, non si percepiva l’importanza. Qual qualcosa che, una volta perduto, lascia un vuoto incolmabile.
Ninotto O’ maresciallo mancherà tantissimo alla nostra città. E questo al di là dei litigi, delle diversità di vedute, delle rituali indignazioni “snob” verso chi assume (o è obbligato ad assumere) stili di vita non propriamente consoni al sistema.
Ah già, l’indignazione snob. Quell’indignazione che riconosce solo un teorema: “Campi con Caritas, (miseri) contributi pubblici e offerte? Vai a lavorare!”.
Quell’indignazione incapace di riconoscere altre forme di povertà rispetto a quelle economiche: le fragilità umane, la diversa maturazione, i deficit della mente, i difficili contesti culturali di crescita che “forgiano” sensibilità differenti, caratteri non allineati al sistema “economico” preponderante.
Chi, invece, ha la fortuna di provenire da una formazione matura e responsabile non può, e non deve, cadere in un tranello qualunquista: “loro” sono veramente gli “ultimi” cui fanno riferimento i tanto decantati messaggi evangelici e i nobili principi delle società “democratiche”.
Invece, li chiamiamo solitamente accattoni. Ma sono semplicemente esseri umani. Li vediamo ciondolare alle 9 del mattino tra la mensa Caritas e il giardino della parrocchia di Nostra signora di Lourdes, li teniamo lontani dai nostri bambini, li guardiamo con diffidenza quando sono insistenti nel chiederci le monete per “una tazzina di caffè”. Li releghiamo, a volte cercando di “istituzionalizzarne” l’allontanamento, laddove non possono scalfire l’immagine di un territorio opulento, laborioso, economicamente “sano”: lontano dagli alberghi, dalle piazze, via dalla cartolina da “famiglia Barilla”. Ci adoperiamo per “fronteggiarli” come se fossero, in talune circostanze, la causa incontrastata dei problemi della nostra città. Salvo poi ricoprirli di mancette per un tornaconto elettorale, farli tornare in cima alle agende della politica a fini propagandistici e rispedirli tempestivamente nel dimenticatoio.
Marescialli senza barba. Invisibili ed emarginati. E lì, il nostro cuore non marca presenza. Purtroppo.
Giuseppe Damiano