All’interno del Museo Correale, nel format de “I dialoghi i del Correale”, un momento di riflessione sui malanni dei nostri tempi: giornalisti alla ricerca di notizie; una Magistratura che non fa Giustizia; Forze dell’Ordine in cerca di visibilità; avvocati agguerriti; le province italiane degli anni ’90: quelle un po’ sonnecchianti, ove l’eco di Tangentopoli qualcosa smuove. E’ la penna scabra, tagliente, affilata, ma mai sovrabbondante di Oreste Lo Pomo, caporedattore del TGR Basilicata, a restituirci una impietosa descrizione dei possibili legami tra potere e malagiustizia, attraverso l’esperienza di un giornalista, costretto, a causa di un evento imprevedibile -l’arresto del miglior amico- a ripensare l’essenza stessa della propria professione, quella che Iole Azzurra Filosa non ha esitato a definire come: “la più bella del Mondo, ma anche la più disgustosa” a causa del rapporto, a tratti morboso, con la notizia. Una professione tanto odiata quanto necessaria per lo sviluppo del dibattito democratico e che, spesso si vuol mettere a tacere: il pensiero è andato alla recente proposta di abolizione del Fondo all’editoria.
“Il libro racconta una storia di malagiustizia, soprattutto il dramma di chi vive questa professione perché il protagonista è un cronista giudiziario”, ha dichiarato Oreste Lo Pomo presentando la sua opera e che ha così descritto il proprio personaggio: “ha un rapporto libidinoso con la notizia fino all’arresto del miglior amico”. Un intreccio che mette in luce dinamiche dei nostri tempi, quelle relazioni inestricabili tra Magistratura, Giornalismo ed Avvocatura, perché, in fondo, in Tribunale, non si fa Giustizia: si realizza la “Verità processuale”, che cosa significhi, che cosa si sacrifica con questa espressione, l’umanità mutilata che essa crea, è spesso qualcosa di secondario. Il libro racconta del giornalista onnipresente in TV; di quello dalle idee confuse: un po’ Fascista, un po’ Socialista; di chi si trincera dietro un linguaggio forbito per dire poco o nulla per alimentare quello che noi definiamo “dibattito democratico”, ma che nulla è se non una scolorita tela su cui tutti, spinti dalle proprie manie di protagonismo, qualcosa vogliono imprimere. In questa chiassosa “Torre di Babele”, va in scena il dramma del protagonista , costretto a ripensare la propria professione, attraverso quello che l’Autore non ha esitato a definire “un messaggio in bottiglia” che, si spera, questo l’augurio della giornalista Filosa, “possa aprire varchi” nel lettore, mettendolo dinanzi a “frammenti di umanità”. Un monito a Magistrati e giornalisti, quello levato da Lo Pomo: “hanno di fronte la notizia e gli atti, ma dietro di essi vi sono le persone”.
“Un libro che va letto tutto d’un fiato”, ha dichiarato l’avvocato Antonino Cuomo: “una trama che trae spunto da fatti realmente accaduti”. A moderare l’incontro, Mauro Esposito, direttore del Premio “Arturo Esposito”.
Angelina Scarpati
