sabato, Aprile 20, 2024
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Alla radice del pregiudizio

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Marcello Coppola Consulting

Per molte professioni è dato l’obbligo di guardare, ascoltare, parlare, agire senza pregiudizio. Lo deve fare l’insegnante che è tale per chi proviene dal centro e per l’alunno della periferia; lo deve fare il sacerdote, che è punto di riferimento spirituale del santo ma soprattutto del peccatore; lo deve fare il medico che ha giurato con Ippocrate “consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo…[…]…di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento rifuggendo da ogni indebito condizionamento; […] di curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno, prescindendo da etnia, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica e promuovendo l’eliminazione di ogni forma di discriminazione in campo sanitario”; lo deve fare lo psicologo che ha il compito di accogliere senza riserve l’adolescente in crisi e lo psicotico, il tossicodipendente così come lo stupratore. Senza pregiudizio! Ma su quale pianeta?! A prescindere dall’orientamento politico, sessuale, religioso o razziale, liberali o conservatori siamo tutti nati e cresciuti in un contesto culturale che ha inevitabilmente orientato le nostre scelte, verso una direzione o esattamente in quella opposta. Siamo tutti figli di genitori che hanno scelto per noi che tipo di educazione o diseducazione ricevere, il senso morale, l’etica. Siamo più o meno tutti andati a scuola, almeno fino ad una certa età e anche questo, al pari degli aspetti elencati prima, ha influito sulle nostre scelte, sul carattere e sul modo di guardare noi stessi e gli altri. Non di meno, hanno giocato un ruolo importantissimo i compagni di scuola, l’amico o l’amica del cuore, il compagno di banco e il primo amore. I primi passi, le cadute e le ginocchia sbucciate. Le bocciature e le lodi. Il primo lavoro come l’ultimo, il nostro stato di salute e quello dei nostri cari. Ognuno di questi aspetti contribuisce a costruire gli occhiali con cui guardiamo il mondo. Ogni psicologo o psichiatra che si rispetti sa che deve rispondere, ancora prima di intraprendere la professione (in verità ogni giorno!), a questa domanda: con chi non potrei mai lavorare? Stupratori o bambini abusati? Psicotici gravi? Adolescenti? Persone di colore? Anziani? Tossici, alcolisti, depressi? Chi non vorrei mai incontrare nella mia stanza della terapia? In molti vi starete chiedendo che fino ha fatto il famoso giuramento di accoglienza e ascolto indiscriminato. La risposta è ormai scontata: è impossibile essere privi di giudizio, asettici, trasparenti. Tuttavia questo non fa di noi dei cattivi professionisti o delle brutte persone. Se siamo conservatori tenderemo a tenerci strette le nostre convinzioni, a restare ancorati agli antichi precetti, se siamo liberali probabilmente saremo più inclini a cambiare opinione. In qualunque modo siamo fatti, tutti abbiamo la necessità di inquadrare l’altro da noi. È una sorta di istinto di sopravvivenza,  sapere cosa aspettarsi in una relazione ci fa sentire più tranquilli, ci cautela. Tuttavia, per uno psicologo ma anche per un medico, così come per l’insegnante, sarebbe fondamentale sapere da dove arriva quel pregiudizio: perché preferisco il verde e odio il giallo? Saperlo forse non lo elimina ma ci aiuta ad essere più autentici e quindi professionali. Inoltre, molti pregiudizi mettono radici nelle insicurezze, nelle fragilità, nella paura. Più siamo spaventati, ansiosi e con una bassa autostima, maggiore è la possibilità di vedere l’altro come una minaccia. Alzare confini e barriere ci fa sentire protetti, lontani dalle minacce, ma di chi? Degli extracomunitari? Degli omosessuali? Di chi non la vede come me? Alzando muri ci illudiamo di essere protetti ma la vera minaccia parte da dentro. Soffermiamoci un attimo su quali e quanti pregiudizi abbiamo prima di tutto verso noi stessi. Quante volte diciamo: non ce la farò mai, non sono all’altezza, non sono preparato, non sono abbastanza bella, non ho la giusta età, non sono amabile né degno di affetto. Ogni volta che ripetiamo questa litania non facciamo altro che aumentare falsi preconcetti verso noi stessi che  ci rendono insicuri e paurosi e che, qualche volta, alimentano il pregiudizio anche verso chi ci circonda, vicino o lontano che sia. Come sempre,  il cambiamento avviene un passo alla volta, dal cominciare a guardarsi con occhi benevoli e meno di rimprovero, dal cambiare prospettiva, perché…
“Lentamente muore/chi diventa schiavo dell’abitudine,/ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,/chi non cambia la marcia,/chi non rischia e cambia colore dei vestiti,/chi non parla a chi non conosce” Martha Medeiras

 

Dott.ssa Margherita Di Maio, psicologa ad approccio umanistico e bioenergetico. Per info 331 7669068

Dott.ssa Anna Romano, psicologa-psicoterapeuta dell’età evolutiva. Per info 349 6538043

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